L’idea del disegno di ricerca è nata da diverse riflessioni fatte nelle riunioni di équipe, quei preziosi momenti di scambio di idee, riguardo l’andamento dei lavori nei reparti della Struttura Villa Giuseppina; si è riflettuto sull’importanza degli spazi di aggregazione e di comunicazione delle ospiti al fine di ostacolare l’isolamento e dare significato al loro vivere la quotidianità.
Durante il ricovero si riscontra la difficoltà a fermarsi e guardare l’altro per attivare il pensiero, di “sostare” in un mondo fatto di sofferenza, paure, come quello che il paziente psichiatrico ci fa vivere. Uno “Spazio Altro” come solo il Gruppo può facilitare un’aggregazione trasformativa. La quota di sofferenza emotiva viene già gestita facendola circolare sotto forma di informazioni, narrazioni, scambi di vissuti in un Gruppo Équipe che racconta il paziente e che comincia a creare uno spazio mentale all’interno di ciascun operatore; ciò può già ridefinire la comunità e i limiti di una rottura del Sé. L’attuazione di un Gruppo Terapeutico può divenire uno Spazio Trasformativo dove sia i pazienti con funzionamento psicotico che borderline, che hanno difficoltà a “pensare il loro dolore”, possono sperimentarsi e raccontarsi; il Gruppo diviene un luogo in cui mettere ciò che troviamo, un’area transizionale di cui parlava Winnicott (1951) in cui far coesistere il dentro e il fuori, il sé e gli altri che presuppone un’esperienza intersoggettiva di tolleranza e fiducia. Ogni volta che si coglie un contenuto del mondo interno del paziente conteniamo anche le eventuali reazioni che ci suscita, favoriamo l’esperienza della mancanza e diamo avvio al processo elaborativo delle immagini mentali, come affermano Petrini – Mandese (2017), passiamo da una modalità di relazione oggettuale parziale ad una totale, ambivalente, densa di significati. Il lavoro presentato ha avuto come obiettivo quello di utilizzare e sperimentare la metodica PPM Processo Psicoanalitico Mutativo (Petrini – Mandese, 2017), in un gruppo terapeutico e valutarne l’efficacia; i pazienti sono stati selezionati prevedendo il buon compenso farmacologico e la partecipazione ad attività riabilitative da più di un anno; la metodica psicoterapica trasformativa del funzionamento psichico ha l'obiettivo di portare il paziente verso un pensiero più flessibile, possibilista ed elaborativo. L’ipotesi parte dall’idea che il narrarsi in gruppo possa attivare processi simbolici e di mentalizzazione, che portano ad un più sano funzionamento, benessere psichico e fiducia nel pensiero.
Per andare a valutare l’efficacia del trattamento, tuttora in atto, sono stati somministrati dei test pre/post intervento; vengono presentati i primi risultati descrittivi del campione, nel file qui scaricabile
Da oggi il Pronto Soccorso Psicologico che opera nel Poliambulatorio di Villa Giuseppina diventa internazionale! Infatti il servizio prende avvio anche in lingua Inglese, in Francese e in Spagnolo. Sempre al servizio di chi ha bisogno.
From now on, the Psychological First Aid that works in the Villa Giuseppina’s Medical Centre becomes international! In fact, the service starts also in English, French and Spanish. Always at the service of people in need. Download the brochure.
À partir d'aujourd'hui, la Urgences Psychologiques du Centre Médical Villa Giuseppina deviennent internationales! En fait, le service sera offert également en anglais, en français et en espagnol. Toujours au service de ceux qui en ont besoin. Téléchargez l'affiche.
A partir de hoy, el Primeros Auxilios Psicológicos del policlínico de Villa Giuseppina llega a ser international. A tal efecto se conseguirá ofrecer una asistencia en englez, francés y en español. Al servicio de quienes más lo necesitan. Descargue el póster.
L'associazione tra farmacoterapia e psicoterapia si è rilevata da anni come strumento utile nel favorire la “compliance” farmacologica, intendendo con questa l'adesione ai trattamenti o, in altre parole, il livello di volontà mostrato da un paziente a seguire le prescrizioni di farmaci da parte del medico. In effetti non c’è da stupirsi di questo e ancora oggi le ricerche confermano tale tendenza. Nel disagio psichico l'uso di supporti farmacologici è molto frequente, ma questo semplice passaggio comprende fasi differenti nell'ambito delle relazioni, tra chi chiede aiuto e chi lo offre. Nel momento in cui un paziente o “utente” chiede un intervento d'aiuto per sé, da parte sua avvengono una serie di veloci valutazioni, relative a:
Il paziente percepisce molto bene quando, durante il suo racconto, si sta già pensando ad una prescrizione come ad una sorta di ricetta di cucina che segua una equazione fissa disturbo X = farmaco Y. E anche nei casi in cui si riesce a mostrare una buona comprensione empatica, il rischio - spesso involontario da parte del medico - è quello di trasmettere una iper-semplificazione dei problemi presentati. Tutto questo si riflette inevitabilmente nelle fasi successive, ovvero quando il nostro ipotetico paziente si ritroverà con una ricetta in mano, dove è scritta una prescrizione che spesso sembra rappresentare una sorta di traduzione "chimica" dei problemi che ha presentato appena entrato in studio.
Per tutti questi motivi l'abbinamento della farmacoterapia ad una forma di accoglienza psicoterapeutica riesce, in una buona percentuale di casi, ad innalzare la soglia dell’aderenza alle prescrizioni farmacologiche stesse. In questo caso ognuno dei due interventi restituisce il giusto valore all'altro. Da un lato si eviterà di dare l'impressione di un eccessivo schematismo prescrittivo - per ciò che riguarda l'intervento farmacologico - dall'altro si abbasseranno le soglie, alcune volte di onnipotenza, da parte dell'intervento psicoterapeutico.
Inoltre va osservato come spesso il solo intervento farmacologico evochi ombre antiche che confrontano gli psicofarmaci con la "malattia mentale". Qui sarebbe utile osservare che le varie categorie psicofarmacologiche vengono diversamente giudicate in funzione del medico che le prescrive. Stimolano giudizi ed allarmi più severi, quando sono prescritte da uno psichiatra rispetto alla prescrizione, ad esempio, di un medico di medicina generale. Nel primo caso valutate come rimedi ineluttabili al proprio stato, giudicato comunque serio ed allarmante; nel secondo caso, tollerati con una certa affidabilità, perché prescritti da una figura familiare. Già in questa semplice differenza è presente una profonda divergenza circa l'adesione alle cure. L'associazione con una psicoterapia restituisce oltre a tutto ciò un livello di accoglienza che si colloca nell'arte dell'ascolto, valorizzando la storia non tanto clinica, fatta di diagnosi ed etichette, quanto quella personale individuale, costellata di ricordi, valori, giudizi. Tutto questo inoltre verrà realizzato attraverso una serie di incontri, per sottolineare che ogni emozione e disagio si colloca lungo una storia che acquista significato, per ognuno di noi, nel fluire del corso degli anni ed è difficilmente riassumibile in un solo incontro per quanto completato con ogni attenzione di accoglienza empatica.
Un ulteriore approfondimento può essere letto qui
Dr. Marco Magnani
Villa Giuseppina
Il gruppo, inteso come “un organismo vivo, fatto di persone collegate fra loro, in funzione di un obiettivo da raggiungere”, può essere uno strumento riabilitativo? Sembra proprio di sì, anche se è composto da pazienti psichiatrici.
Questo è l’argomento di un recente studio condotto da due psicologhe che hanno svolto il tirocinio presso Villa Giuseppina.
La dott.ssa Rosanna Barrilà e la dott.ssa Bruna Palmieri hanno fatto una ricerca (in via di pubblicazione sulla rivista specializzata “Psicologia, Psicoterapia e Salute”) su un gruppo di pazienti psichiatrici, per verificare se il gruppo può favorire l’autoregolazione affettiva e promuovere l’empatia.
Grazie all’utilizzo di tecniche riabilitative all’interno del gruppo, si è riscontrata una risposta positiva in entrambi gli obiettivi prefissati.
Per l’autoregolazione affettiva si sono considerate tre aree, quali:
Per la capacità relazionale empatica sono state prese in considerazione le prime due aree e, in più, la condivisione delle emozioni.
La ricerca ha dato esito positivo, in quanto conferma – come scrivono le autrici - “che il contesto può favorire l’apprendimento progressivo del riconoscimento e la consapevolezza delle proprie emozioni, il saperle controllare ed esprimere, restando nel qui e ora, e soprattutto il percepire e sforzarsi di comprendere i sentimenti dell’altro. Il gruppo quindi si è presentato come un contesto protetto di espressione e gestione del proprio mondo interiore”.