"Che fine fa il dolore?
Il soggetto è realmente in grado di sopportare le pene che la vita non risparmia, di soffrire il dolore impensabile della perdita, dei traumi, la morte, è capace di trasformarlo, o è necessario affidarlo a qualcun’altro che si occupi di noi? E l’opera pietosa dell’oblio è sempre possibile o più spesso ricorriamo alla finzione? Sin dai tempi di Galeno la medicina ha sempre privilegiato la via dell’anestesia, ma la pratica clinica insegna che l’eliminazione completa del dolore è più una fantasia della nostra epoca di onnipotenza, che una meta da perseguire, perché l’anestesia, che annulla il dolore, abolisce anche la nostra coscienza, e non può che essere transitoria, puntuale, e quando nella mente si instaurano delle anestesie permanenti, esse sono così destrutturanti che mettono in serio pericolo l’economia della nostra vita affettiva. Anche la psicoanalisi ha mostrato interesse nei confronti del dolore proponendo possibili modelli per la sua trasformazione. L’idea di base è che il dolore debba essere mentalizzato per poter essere rimosso, consegnato alla pietosa opera dell’oblio, ma per i gravi traumi, o quando la capacità di soffrire è limitata, il dolore sembra incistarsi nel corpo come malattia psicosomatica, o cercare le vie della anestesia, sotto forma di tossicodipendenza, di allucinosi, di perversione, e quindi della violenza quando viene espulso e proiettato.
Il convegno attraverso un approccio multidisciplinare propone una discussione sui percorsi del dolore, le sue trasformazioni, il suo incistarsi somatico, le forme di condivisione sociale, nell’intento di cercare dei modelli in grado di parlare ai clinici nel loro lavoro quotidiano e valutare possibili filoni di ricerca in una ottica di prevenzione".
Se ne parla nel convegno del 16 Settembre 2016, organizzato dalla I.R.E.P., del quale è possibile scaricare qui la locandina.