Annual Meeting Società Italiana per la Formazione in Psichiatria
La S.I.F.I.P. (sezione speciale della Società Italiana di Psichiatria) è un’associazione scientifica senza fini di lucro ed apolitica, il cui scopo sociale è quello di promuovere la formazione nell’ambito della psichiatria e della psicologia clinica, anche mediante la ricerca nell’ambito di nuovi modelli teorico-applicativi. Essa contribuisce a diffondere la cultura psichiatrica attraverso corsi di formazione, meeting e convegni, che costituiscano luoghi interattivi di confronto e discussione sulle molteplici esperienze cliniche e realtà organizzative della salute mentale. Anche le sue iniziative editoriali (la rivista scientifica “L’Altro”) perseguono obiettivi di formazione ed aggiornamento nell’ambito delle neuroscienze, della psichiatria clinica e delle discipline antropologiche. La S.I.F.I.P. ripropone la cultura psicopatologica come asse portante della metodologia formativa e della prassi professionale degli operatori della salute mentale, in collaborazione con altre società scientifiche, istituti universitari, nonché strutture assistenziali pubbliche e private. Secondo logiche di razionalità plurale ed antitotalizzante promuove e rafforza i valori dell’identità professionale e la loro necessaria fondazione nell’etica dell’alterità e nell’incontro con altre culture.
Sono gli psichiatri e psicologi una sorta di filosofi della mente? Spesso sono stati così considerati, specialmente quando hanno formulato ipotesi interpretative del funzionamento psichico, presentandole come fondamenti epistemici di diverse scuole di pensiero, a cui si sono uniformate varie tecniche d’intervento. La mente umana però non è spiegabile esaustivamente con nessun modello. Si può intraprendere un percorso non dogmatico di comprensione all’interno di essa alla luce della teoria dei sistemi complessi. In questo orizzonte non è più sufficiente la comprensione di alcuni meccanismi patogenetici e l’apprendimento di nuovi sistemi tassonomici.
Vanno superati gli steccati ideologici dei vari modelli teorici, troppo spesso contrapposti, nonché i riduzionismi nosologici. Le nostre competenze epistemiche, plurime e culturalmente contaminate nell’impegno professionale, hanno una intrinseca ed inscindibile tensione verso la praxis nella relazione d’aiuto. Nella nostra condizione di uomini liberi, responsabili e professionalmente competenti non dobbiamo limitarci ad interpretare la malattia.
Possiamo cambiarne il mondo con una prassi clinica basata sulla consapevolezza della complessità del reale ed una nuova attenzione antropologica.